Il genocidio armeno (1915-1923)

Published by the American red cross, it was first published in the United States prior to January 1, 1923.
[Aus: Politisches Archiv des deutschen Auswärtigen Amtes. Bestand: Konstantinopel 169.], 

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Ancora oggi, a un secolo di distanza, sentiamo discutere del cosiddetto genocidio armeno, quasi sempre con toni aspri, in quanto l'Europa cristiana riconosce dietro i fatti accaduti durante la prima guerra mondiale in Anatolia un disegno di sterminio pari a quello poi messo in atto contro gli ebrei dal nazismo, mentre la Turchia nega recisamente da sempre di poter dare carattere di sistematicità alla repressione e parla di semplici operazioni dovute alla guerra, volte a reprimere ribellioni o prevenire tradimenti da parte della popolazione armena, senza alcuna volontà di sterminio. La vicenda è ancora dibattuta, anche tra gli storici, ed è uno dei motivi che viene accampato per negare l'ingresso della Turchia nell'Unione Europea.
Cerchiamo quindi i capire meglio cosa accadde tra il 1915 e il 1916, durante il primo conflitto mondiale, che abbiamo studiato sui libri di scuola quasi totalmente da prospettiva europea e quasi mai dal punto di vista orientale.

Anche in passato all'interno dell'Impero Ottomano c'erano state violente rappresaglie contro alcune minoranze etniche, giustificate quasi sempre con la repressione di rivolte. Di questi massacri, l'ultimo dei quali risalente a fine Ottocento, in Europa arrivava ben poca eco. Limpero ottomano era sempre stato noto per aver lasciato libertà religiosa ai popoli sottomessi, ma nessuna pietà era prevista nel caso si sospettassero mire politiche.
A inizio Novecento l'impero era in crisi, e riusciva a malapena a tenere unite le vaste regioni che possedeva. A fine XIX secolo era nata una associazione di studenti, intellettuali e ufficiali, ispirata alla Giovine Italia di Mazzini, che adottò il nome di Comitato dell'Unione e Progresso e che finì poi per essere denominata popolarmente "Giovani Turchi", in contrapposizione coi "Vecchi Turchi", gli attuali governanti, che erano a loro parere la rovina del paese e che avrebbero dovuto farsi da parte, consentendo un governo costituzionale.

Il sultano Abdul Hamid II cominciò a perseguire i membri della società segreta, ma nel 1908, grazie soprattutto all'appoggio militare degli ufficiali coinvolti, i Giovani Turchi marciarono su Istanbul e costrinse il sultano a tornare alla Costituzione concessa nel 1876 e a notevoli modifiche dello Stato. Il sultano fu poi deposto l'anno dopo, dopo un periodo di grave debolezza in cui i possedimenti balcanici iniziarono a reclamare la propria indipendenza (guerre di indipendenza balcaniche), e fu sostituito dal fratello Maometto V.

Il nuovo regime tentò di modernizzare l'apparato statale, ma questo comportò un accentramento notevole di poteri che urtò violentemente con le morbide abitudini precedenti, e questo proprio nel periodo in cui si facevano più forti le spinte indipendentistiche dei singoli popoli, specie nel continente europeo.

L'impero era un alleato economico importante per la Germania, che aveva in esso un ponte commerciale verso l'Oriente. All'inizio della Grande Guerra tentò di mantenersi neutrale, ma controversie marittime con la Gran Bretagna e l'aiuto della Germania, che donò appositamente due navi contro le prepotenze britanniche, finirono per coinvolgere nella guerra anche il fronte ottomano, che ovviamente scese in campo a fianco dello stato teutonico e dell'impero austro-ungarico.
La Grande Guerra come noto finirà nel 1918 con la completa dissoluzione dei due imperi e con la perdita di qualsiasi influenza europea della Turchia.

E' proprio all'interno di questo quadro generale che va inquadrato il genocidio armeno (nonché quello greco, minore come numeri ma che ancor oggi rende poco cordiali i rapporti fra Turchia e Grecia). Gli armeni erano da secoli sudditi dell'impero, fin dall'epoca bizantina erano di religione cattolica di rito greco. Questo rendeva particolarmente complessa la loro posizione, perché era diffusa la credenza che potessero appoggiare i russi, nemici in guerra, e fare loro da spia. La convinzione era ancora più diffusa in quanto molti armeni disertavano la chiamata alle armi (ma a quanto pare lo stesso avvenne anche tra la popolazione di origine turca). Insomma, si temeva che potessero favorire il nemico. Effettivamente pare che armeni ottomani disertori fossero stati reclutati da armeni russi e che la città di Van fosse stata conquistata da queste truppe miste e poi consegnata alla Russia.

Da qui ovviamente si dipanano due versioni diverse dell'accaduto. Quella ufficiale turca parla di spie, diserzioni, rivolte che dovettero essere sedate e che quindi misero la pulce nell'orecchio al comando, che intese allontanare gli armeni, specie quelli più in odore di collaborazionismo (leggi: gli intellettuali). Quella armena (e di conseguenza europea) parla invece di una adesione dei Giovani Turchi alle nascenti ideologie nazionaliste, per cui si sarebbe sacrificata la nazione armena al progetto ideale di una Grande Turchia composta da popolazione esclusivamente turca e di religione islamica.

Fatto sta che tra il 23 e il 24 aprile del 1915 iniziò quello che in lingua armena viene definito il Grande Crimine, che perdurò con varie tempistiche fino al 1923: a Istanbul e poi in tutta l'Anatolia furono uccisi o deportati in massa migliaia di armeni, nelle famose marce della morte. Ufficialmente le carte parlavano infatti solo di deportazione: gli armeni dovevano abbandonare tutti i loro beni (acquisiti e redistribuiti tra gente turca) e camminare per chilometri e chilometri verso l'interno. Se non morivano lungo la strada per la fame, le malattie o per mano dei soldati, venivano abbandonati in luoghi solitari, senza alcuna assistenza. e la loro sorte era pressoché segnata. In questo modo morirono circa un milione e duecentomila armeni (fonti armene parlano di più di due milioni, fonti turche minimizzano; diciamo che una cifra corretta dovrebbe aggirarsi tra un milione e duecento e un milione e cinquecento).

Il principale teorizzatore e autore della deportazione armena fu Talat Pascià, ma pare che non fosse estraneo alla programmazione delle "marce della morte" il colonnello prussiano Bronsart von Schellendorf, in forza al governo ottomano come capo di stato maggiore in virtù dell'alleanza con la Germania, che fu braccio destro del ministro della guerra Enver e fu anche insignito del titolo di Pascià. In effetti all'epoca l'ideologia nazionalista si stava diffondendo in Europa e perfino in Usa, assieme alla convinzione dell'infallibilità della scienza, che portò poi agli esperimenti scientifici eugenetici, nazisti e non, di cui ho scritto commentando qui nel blog il testo "Ausmerzen" di Marco Paolini. Insomma, un'epoca di delirio collettivo.

Molti storici hanno quindi definito quello armeno il primo vero genocidio della storia, inteso come sistematico sterminio a fini nazionalistici e di razza, e lo uniscono idealmente al secondo e ancora più terribile genocidio ebreo commesso dai nazisti. I paralleli effettivamente ci sono. Gli storici negazionisti invece ribattono sottolineando semplicemente che si trattava di una deportazione, per quanto brutale, atta solo ad allontanare i presunti traditori armeni dallo scenario della guerra.
Dopo l'armistizio, alcuni alti ufficiali turchi furono citati in giudizio dai britannici per il crimine contro gli armeni, ma non essendoci prove documentali furono tutti rilasciati.

Al momento 29 paesi, quasi tutti europei, hanno riconosciuto quello armeno come genocidio, In particolare la Francia ha approvato una legge che dichiara reato negare il genocidio (i francesi furono i principali alleati degli armeni in Europa e contribuirono a salvare e accogliere diversi esuli della diaspora che seguì le persecuzioni).
In Turchia invece è ancora reato parlare di genocidio e diversi personaggi in vista (giornalisti, registi, scrittori) hanno subito un processo o sono stati minacciati di morte da ultranazionalisti. A volte le minacce si sono avverate: il giornalista turco di origine armena Hrant Dink fu assassinato nel 2007.

La stessa Santa Sede ha più volte ribadito, anche di recente con papa Francesco, il carattere di genocidio (a carattere etnico-religioso, volto a islamizzare la popolazione dei territori) della repressione attuata contro gli armeni.

La Turchia ha sempre reagito a queste accuse negando e interrompendo i rapporti con i paesi interessati, richiamando gli ambasciatori. L'attuale premier Erdogan ha ufficialmente proposto di creare una commissione apposita di storici a cui dare accesso agli atti del governo dell'epoca, ma questa disponibilità è stata per adesso ritenuta insufficiente da Usa, Europa e dal moderno stato armeno, con cui i rapporti sono pressoché inesistenti.

La delicata situazione attuale della Siria, alle prese con una guerra durissima; la presenza del recente Stato Islamico o Daesh, il ruolo determinante della minoranza curda, invisa ai turchi ma necessaria nella lotta contro l'estremismo; gli interessi americani e russi; tutti questi elementi fanno sì che ancora adesso la questione armena sia vista in modo strumentale e non abbia trovato ancora pacificazione. Nessun dubbio che il fatto storico sia accaduto. Ma le motivazioni addotte a giustificazione sono ancora totalmente declinate secondo l'ideologia e non secondo lo spirito di verità.

Memoriale genocidio armeno a Yerevan di Armen Gurekian - Opera propria,
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Link correlati:

- Il testo che mi ha avvicinato al tema del genocidio armeno è un romanzo scritto nel 1933: I quaranta giorni del Mussa Dagh di Franz Werfel. Werfel era un ebreo boemo e volle raccontare il genocidio armeno prendendo spunto da un evento realmente accaduto: la resistenza armata da parte di alcuni villaggi armeni sulla montagna del Mussa Dagh, vicino al mare: cinquemila persone si rifugiarono tra i monti dando filo da torcere ai soldati turchi, riuscendo a sconfiggerli più volte grazie alla montagna impervia che era divenuta una trincea di difesa. Quasi tutti furono salvati da un incrociatore francese di passaggio  e furono portati in Egitto. La storia di Werfel è fiction, ed essendo un libro datato non è nemmeno particolarmente brillante nel modo di raccontare. Però se vi interessa l'argomento può essere una buona lettura. Ovviamente Werfel sta dalla parte degli armeni, e il suo libro fu profetico. Disse infatti: tra poco toccherà a noi. E di lì a poco dovette emigrare in Usa per evitare la persecuzione nazista.

- Esiste una documentazione fotografica della deportazione armena: la realizzò Armin T. Wegner, avvocato, fotografo, poeta, sostenitore dei diritti civili di armeni ed ebrei, nonché testimone oculare. La potete consultare sul sito dell'ANI, Armenian National Institut, con sede a Washington.





2 commenti:

  1. Che i morti siano stati 1 milione o 2 milioni non va a vantaggio di nessuno. Sta di fatto che l'Armenia e gli armeni non esistono più.Se questo non è un genocidio...
    Ho visto quelle foto in un documentario TV. Chilometri di morti ai bordi del sentiero...non ho parole :(

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  2. Sono d'accordo, la sostanza cambia poco; il fatto è che anche dal punto di vista storico le prese di posizione non sono univoche, e credo dipenda molto dall'alto grado di coinvolgimento che ancora oggi viene posto sull'argomento, molto politicizzato. Ci sono i negazionisti dello sterminio ebreo, ed esistono anche quelli del genocidio armeno. Personalmente, genocidio rimane qualunque sia stato lo scopo che il governo turco si è posto, perché quello è stato in fondo il risultato. Però a livello storico il parere personale conta poco, e ho riportato entrambe le tesi perché così vuole l'oggettività. Ma non ho dubbi su chi abbia ragione. A mio parere episodi singoli di armeni che hanno aiutato il "nemico" possono aver dato l'occasione per una campagna aggressiva di tipo nazionalista. Per fare un esempio, negli Usa durante la seconda guerra mondiale avvenne una massiccia deportazione di immigrati giapponesi, anche di seconda generazione e che quindi si sentivano americani, proprio per paura che, essendo nemici in guerra, potessero organizzare attentati o violenze o simili. Fu una vera e propria deportazione, una pagina abbastanza brutta della storia americana, intrisa di pregiudizio se non vero e proprio razzismo. Ma per quanto brutta fu appunto una deportazione in campi attrezzati e non ci furono morti, anche se si può immaginare il dolore di essere trasferiti a centinaia di km dalla propria casa. I giapponesi tornarono poi, anche se con fatica, a integrarsi nel tessuto sociale e a vivere. Se si voleva mettere semplicemente in sicurezza la zona del fronte, lo si poteva fare senza tutti quei morti. Per chi fosse interessato alla tematica delle deportazioni giapponesi in Usa, c'è un romanzo bellissimo di Jamie Ford che illustra questa delicata tematica: "Il gusto proibito dello zenzero".

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