L'affaire Dreyfus, il "J'accuse" e la nascita dell'intellettuale moderno

La degradazione di Dreyfus di Henri Meyer - Bibliothèque nationale de France, Pubblico dominio,
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L'Affaire Dreyfus è giustamente famoso nei libri di storia. Fu uno scandalo che si protrasse per anni, un enorme errore giudiziario, che divise la Francia (ma non solo) in due fazioni in lotta, e sollevò un'ondata di antisemitismo che non si placò nemmeno quando l'errore fu riconosciuto, anche se solo parzialmente. I servizi segreti e lo stato maggiore dell'esercito fecero di tutto per evitare di ammettere le proprie responsabilità e Dreyfus fu all'inizio il capo espiatorio perfetto. Il suo caso fu anche uno dei primi scandali ad avere come protagonista, nel bene e nel male, la stampa. Nel male, perché le accuse infondate furono diffuse ampiamente dai giornali che oggi definiremmo di destra: cattolici, antisemiti e nazonalisti,. Nel bene, perché la lotta per la verità passò sempre dalla stampa, con il famoso contributo di  figure intellettuali del calibro di Zola, Proust, Gide, Anatole France ed altri.


E' importante avere un quadro chiaro del contesto storico in cui si trovava la Francia all'epoca. Siamo nella Terza Repubblica. La Germania di Bismarck aveva sottratto Alsazia e parte della Lorena, smacco molto duro da digerire per il nazionalismo dell'epoca. La Francia era mutilata. Di pochi anni prima era un altro grave scandalo, collegato in parte all'affaire Dreyfus per lo spirito antisemita con cui fu affrontato dai giornali: quello del canale di Panama. La Francia aveva battuto gli Stati Uniti e aveva vinto la gara per realizzare il famoso canale, dopo aver già realizzato quello di Suez (su progetto italiano dell'ingegner Luigi Negrelli, a Suez il canale fu costruito dal francese de Lesseps, il quale si prese la briga di lavorare anche a Panama). L'impresa però si rivelò proibitiva per varie sfortune, errori e costi aggiuntivi: alla fine la società del canale di Panama dovette chiedere una pubblica sottoscrizione, ma non riuscì ad evitare il fallimento, truffando migliaia di cittadini che avevano investito nelle azioni. Il progetto fu quindi rilevato e portato a termine dagli USA. I giornali nzionalisti che denunciarono l'accaduto sottolinearono come due dei responsabili economici del disastro fossero ebrei, aprendo di fatto la strada a considerazioni che avrebbero poi avuto il loro peso nella condanna di Alfred Dreyfus, e denunciando una grave pratica di corruzione a livello governativo.

Alfred Dreyfus - Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=183917


Dreyfus era un ebreo alsaziano, che rifiutò di restare in Alsazia sotto i tedeschi, e per di più decise di entrare nell'esercito francese, dimostrando un forte legame con quella che riteneva essere la sua patria e sostendendo la Revanche, la rivalsa contro i nemici. Non era insomma un disadattato, o un nemico dei francesi. Svolgeva apprendistato da ufficiale quando, nel 1894, il controspionaggio francese, nella persona del maggiore Henry, scoprì una lettera, redatta a quanto pare da un anonimo e bene informato ufficiale francese, in cui lo stesso tentava di vendere ai tedeschi segreti militari logistici e sugli armamenti dei cannoni.
Essendo uno degli ufficiali di artiglieria che frequentavano quell'ambiente, essendo ebreo, avendo una calligrafia simile, Dreyfus fu immediatamente sospettato. Convocato con la scusa di una ispezione, invitato a scrivere con un pretesto, gli fu contestato l'alto tradimento e fu invitato a spararsi con una pistola piuttosto che sottostare al disonore. Non lo fece, dichiarandosi innocente, e fu arrestato. Il caso fu gestito con procedure fuori dall'ordinario, senza capi d'accusa ufficiali, senza che l'imputato potesse comunicare con nessuno; la stampa nazionalista inveiva contro gli ebrei facenti parte dell'esercito, tutti potenziali traditori, e illustrava un fantomatico complotto giudaico contro la nazione. Il processo si basò sulla perizia calligrafica e su alcune prove scritte, tutte falsificate dai servizi segreti. Il colpevole doveva essere lui. Un giornalista scriverà: Dreyfus (in quanto ebreo, NdA) non è della mia razza. L'anomalo processo si chiuderà nel 1895 con la degradazione pubblica di Dreyfus e la sua deportazione nella colonia penale dell'Isola del Diavolo, in Guyana Francese, dove sconterà i lavori forzati fino al 1899.

Di Émile Zola - Scan of L'Aurore, Pubblico dominio,
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A questo punto però cominciano ad emergere elementi a discolpa del disgraziato ufficiale. Nel 1896 fu intercettata un'altra lettera, stavolta proveniente dall'ufficiale prussiano von Schwartzkoppen, destinatario dello scritto precedente che aveva incastrato Dreyfus. Ma nella risposta il tedesco non si rivolgeva a lui, bensì a un altro ufficiale francese con cui evidentemente era in rapporti: si trattava di
Ferdinand Walsin Esterhazy, francese di nobile origine che però a causa di debiti di gioco era caduto in disgrazia. Il colonnello Georges Picquart riaprì il caso, dimostrando che era la calligrafia di Esterhazy e non quella di Dreyfus a trovarsi sulla prima lettera incriminata, ma lo Stato Maggiore e il governo rifiutarono di ascoltare. Il colpevole per loro c'era già, nonostante che si dichiarasse innocente, che la moglie chiedesse a gran voce la revisione del processo, e con lei anche alcuni intellettuali, tra cui lo scrittore ebreo Bernard Lazare, amico di famiglia di Dreyfus stesso. Picquart per tutta risposta viene immediatamente trasferito ad altro incarico in Tunisia. Riesce però a comunicare le sue scoperte a Lazare stesso e al vicepresidente del Senato.

 Fu proprio Lazare a far partire la campagna di stampa a favore dell'ufficiale ebreo ingiustamente disonorato e detenuto. Accadde così quello che la storica americana B. Tuchman, nel suo libro "Tramonto di un'epoca", definì "una delle grandi rivoluzioni della storia": gli intellettuali francesi per la prima volta in assoluto in Europa si mobilitarono per salvare Dreyfus, pagando anche di persona il coraggio di andare contro la verità di stato. E' giustamente passato alla storia il "J'accuse" di Emile Zola, che nel 1898, dalla prima pagina del giornale "L'Aurore", del politico radicale Georges Clemenceau (prima antidreyfusardo e poi uno dei principali sostenitori della sua innocenza) si rivolse al presidente della Repubblica. Il giorno dopo sullo stesso giornale comparve la "Petizione degli intellettuali". A raccogliere le firme nientemento che Marcel Proust e suo fratello Robert, che raccolsero le firme della metà dei professori della Sorbona, e di artisti del calibro di Manet, Gide, Anatole France, Jules Renard, Jacques Bizet.
Per tutta risposta Zola fu inquisito e condannato per vilipendio e poté giovarsi di un'amnistia solo nel 1900. Piquart fu arrestato. Contemporaneamente la parte avversaria fomentava una violenta campagna di stampa contro ebrei, democratici e liberali, rei di essere antifrancesi e antinazionalisti.

Pochi mesi dopo, il colpo di scena. Il maggiore Henry, principale accusatore di Dreyfus, confessò di aver falsificato le prove su cui si era basato il processo e si suicidò. Di seguito, Esterhazy rese piena confessione di essere stato lui a scrivere la lettera da cui tutto aveva preso inizio, tirando in ballo anche i suoi superiori. La Cassazione accettò quindi la revisione del processo e Dreyfus poté tornare in patria. Nel 1899 si svolse quindi il secondo processo, che però condannò di nuovo l'imputato, anche se con le attenuanti, a 10 anni. Lo scandalo fu grande, e la corte militare risultò aver subito forti pressioni dallo Stato Maggiore che non voleva ammettere di aver compiuto un abuso.
Le elezioni diedero vittoria alle forze più progressiste e il nuovo Presidente del Consiglio convinse Dreyfus a chiedere la grazia, anche se ciò significava una ammissione di colpevolezza. Grazia che arrivò nel 1899, pochi giorni dopo la seconda condanna. Seguì nel 1900 l'amnistia totale per quanto rigurdava i reati connessi all'Affaire.
Dreyfus chiese più volte una nuova revisione del processo, ma non l'ebbe mai. Solo nel 1906, quando salì al governo proprio il radicale Clemenceau, la Cassazione, pur non avendo poteri in materia, annullò il verdetto di colpevolezza e reintegrò Dreyfus nell'esercito. Ma un nuovo processo con assoluzione non ci sarà mai.
La storia potrebbe finire qui, se non fosse per un nuovo accadimento: nel 1908, durante la traslazione dei resti di Zola al Pantheon, Dreyfus fu vittima di un attentato da cui uscì solo ferito. L'attentatore, tale Luis Gregori, giornalista di estrema destra, probabilmente non agì da solo ma con il sostegno di gruppi politici eversivi; ma fu assolto inspiegabilmente dalla giuria popolare perché ritenuto non in grado di intendere e di volere.

Alfred Dreyfus si ritirò dall'esercito poco dopo la riabilitazione, e fu richiamato in servizio durante la Prima Guerra Mondiale. Morì nel 1935. Alla sua morte, ancora molti francesi e molta stampa di destra insistevano a considerarlo colpevole nonostante tutti i dati di fatto dicessero il contrario.

Non si può non chiudere l'argomento senza citare l'analisi acuta del grande Indro Montanelli, che traggo da un articolo pubblicato sul suo quotidiano "La Voce" del 16 ottobre 1994, la cui citazione è riportata da Wikipedia nella pagina dedicata all'Affaire.
Montanelli spiega:
« Esso non fu soltanto il più appassionante "giallo" di fine secolo. Fu anche l'anticipo di quelle «deviazioni» dei servizi segreti che noi riteniamo - sbagliando - una esclusiva dell'Italia contemporanea. Ma fu soprattutto il prodromo di Auschwitz perché portò alla superficie quei rigurgiti razzisti e antisemiti di cui tutta l'Europa, e non soltanto la Germania, era inquinata. Allora, grazie soprattutto alla libertà di stampa che smascherò l'infame complotto, quei rigurgiti furono soffocati. Ma la vittoria dell'antirazzismo, che lì per lì sembrò definitiva, fu, come sempre quella della Ragione, soltanto momentanea. Le cronache di oggi dimostrano che nemmeno i forni crematori dell'Olocausto sono riusciti a liberarci dal mostro che si annida nel subconscio delle società (con rispetto parlando) cristiane, e che proprio nell'affare Dreyfus diede la misura più eloquente della sua abiezione».
E aggiunge un altro particolare: l'Affaire è anche alla base della teorizzazione della necessità dello Stato Ebraico di Israele. Il teorico dello Stato ebraico infatti, Theodor Herzl, all'inizio era convinto che gli ebrei dovessero mescolarsi alla società, proprio come Dreyfus aveva tentato di fare. Fu l'Affaire a farlo dubitare della possibilità di integrarsi nella società europea e a teorizzare quindi la necessità dello Stato di Israele.

Concludendo, quindi, questo grave episodio ci insegna ancora oggi a cosa serva la libertà di stampa, quanto sia necessaria la libertà spirituale degli intellettuali, e anche quanto una comunicazione volutamente falsa e provocatoria possa influenzare la società a tal punto da far perdere la visione della verità a favore dell'ideologia. Un affare di poco conto, che poteva essere relegato a un problema interno all'esercito francese, mise invece in moto una serie di forze che portarono conseguenze a livello europeo; e lo scandalo fu alla fine in parte rimediato solo grazie all'azione puntuale e coraggiosa di personalità importanti del panorama culturale dell'epoca.

Link correlati:
- Un articolo molto interessante sulla figura dell'intellettuale moderno e su Emile Zola in particolare: dal sito Le parole e le cose.

- Ci fu un italiano che raccolse materiale abbondante sull'Affaire Dreyfus, convinto dell'innocenza dell'ufficiale. Si tratta del diplomatico italiano Raniero Paulucci di Calboli, di nobile famiglia originaria di Forlì, in servizio a Parigi proprio in quegli anni. Il materiale da lui raccolto è uno dei migliori documenti dell'epoca ed è conservato nell'archivio storico di Forlì. Trovate un articolo in pdf, piuttosto lungo ma interessante in merito, scritto dal dr. Francesco Gioiello, a questo link

- RaiStoria ha dedicato una puntata all'Affaire. La trovate qui.

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