Letture: Come cavalli che dormono in piedi di Paolo Rumiz



"Ti te me dirà che i popoli se ga odià
in 'sta guera.
Mi digo caso mai che i se ga conosù.
Forsi l'Europa xe nata in trincea"




Ho acquistato questo libro per interesse storico verso l'argomento, visto che non è spesso oggetto di studio, anzi: il fatto che almeno 100.000 italiani abbiano combattuto la guerra dalla parte "sbagliata" in quanto sudditi dell'impero austroungarico all'inizio delle ostilità nel 1914 viene spesso passato sotto silenzio, e quei pochi che tornarono si trovarono davanti all'ascesa fascista; in molti casi furono costretti a italianizzare il nome e addirittura deportati forzatamente in cosiddetti campi di rieducazione, perché non nuocessero al programma di irredentismo a favore della "Trieste italiana". Niente tombe per i ragazzi del '97, niente racconti, anzi: la fama di codardi si portarono dietro, incoraggiata dai sospetti austriaci di infedeltà e che comincia a essere storicamente rivalutata solo in epoche recentissime. L'autore stesso inizia il suo racconto precisando come, per quei ragazzi triestini, la guerra che in Italia è ancor oggi nota come '15-'18 in realtà iniziò nel 1914 e dal lato opposto della trincea.


All' inizio son rimasta un po' delusa, perché il testo non vuole essere un resoconto storico preciso (anche se l'aspetto storico c'è e ben delineato, ma bisogna conoscere un poco il periodo per non perdersi). Invece...

Il testo è un resoconto di viaggio, un racconto dei paesi dell'Est e una dolente memoria di tutti i morti, specialmente quelli della parte sbagliata, i triestini che furono combattenti per l'Austria, non per colpa ma per destino di nascita. Il libro si trasforma così in una dolorosa e un po' onirica elegia delle Ombre, che sembrano chiamare l'autore a una diversa consapevolezza.

I diversi spostamenti si svolgono quasi tutti in treno, su tratte ormai quasi in disuso, i cui scheletri ferroviari ancora oggi sono quelli costruiti dall'impero asburgico.

L'autore, dopo una visita al Sacrario Militare di Redipuglia in provincia di Gorizia, edificato in epoca fascista, si sente spronato ad andare a cercare i "morti senza nome", che parlavano lo stesso dialetto dei morti sotto bandiera italiana, ma che finirono la loro esistenza terrena su altri fronti e sotto comando austriaco: in Galizia, Bucovina e Ucraina, nelle battaglie di Przemysl e nella conquista di Leopoli. Ma un manipolo fu mandato anche contro Cadorna, quando l'Austria non si aspettava l'entrata in guerra dell'Italia, e il loro lavoro di sbarramento impedì la conquista di Trieste. Fatto gravissimo per il regime fascista: da passare assolutamente sotto silenzio il fatto che italiani abbiano impedito ad altri italiani di "salvare" una città che per la propaganda mussoliniana doveva essere dipinta come italiana nell'animo e per eccellenza, nonché oppressa dalla dominazione asburgica.

Si leggono storie di eroismo che però ormai per le nuove generazioni sono sempre più lontane, visto che i nonni che raccontano sono ormai morti e abbiamo perso la potenza della tradizione orale. Così si leggono storie di coraggio e ironia, come quella di un italiano che prende in ostaggio un manipolo di russi con il fucile scarico; storie di diserzione, con gli italiani e i russi che fanno a gara per farsi prendere prigionieri piuttosto che combattere ("Come avete fatto in tre a farne prigionieri dieci?" chiede un superiore a dei ragazzi che portano dei tranquilli "prigionieri" russi al campo); storie di privazioni, fame, freddo. Gli stessi del fronte italiano, con una differenza: le ampie pianure polacche e ucraine, contro l'aspra montagna del Carso.

"Il 24 maggio del ’15 la cavalleria italiana passa il confine austriaco dalle parti di Cervignano e chiede a un vecchio seduto sulla porta di casa: “Scusi, buon uomo, dov’è il nemico?”. E il buon uomo, tranquillo, risponde: “Veramente, signor ufficiale, il nemico siete voi”. Oppure: negli stessi giorni c’è un assalto italiano un forte della Val d’Astico, a ovest di Asiago, e un sergente che sa il tedesco urla col megafono di arrendersi alla guarnigione. Qualcosa tipo “Nachgeben sofort!” o giù di lì. Al che uno degli assediati grida: “Me dispias, se avanzé sbarem. Ma perché parlel todesc, sior sergente? El varda che parlem italian anca noi”.

Non manca certo il richiamo all'Europa moderna, nata dal disastro di due conflitti che per la poca distanza temporale e i motivi di rivalsa di popoli scontenti in realtà furono una unica sporca guerra, e che adesso sembra di nuovo preda di divisioni nazionaliste e pare aver perduto la sua strada, la sua identità. In quel periodo iniziarono i primi disordini contro gli ebrei, accusati di parteggiare sempre per il nemico e di foraggiarlo economicamente. In quell'epoca nacquero e si estesero i nazionalismi balcanici, tenuti a freno dal regime di Tito e poi di nuovo liberi nella guerra balcanica moderna. In quel periodo la Russia ebbe la sua rivoluzione comunista ma non cessò di protendersi e interessarsi ai paesi satelliti e alla Turchia, e come vediamo ancora oggi gestisce su alcuni paesi una sorta di "protettorato a distanza".

Sacrario Militare Redipuglia
By ModriDirkac - Own work, CC0,
https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=40685403


Le radici dell'Europa odierna sono nel periodo 1914-1945.
Essa è nata proprio su quei cimiteri insensati di giovani che in fondo erano uguali tra loro, a parte lo schieramento. A tale proposito, commovente la rievocazione dell'incontro con il nemico, quando lo sguardo, non più sostenuto dalla propaganda, fa vedere ai ragazzi italiani che i russi sono ragazzi come loro, e viceversa; commoventi gli accordi taciti che consentono dall'una e dall'altra parte di andare a raccogliere patate a turno nella "terra di nessuno" (così si definisce lo spazio tra due trincee o sbarramenti nemici, che è continuamente sotto bersaglio di fuoco). Commovente la storia di Virgilia, che dal Friuli viaggia fino in Galizia e arriva al fronte per portare beni di prima necessità ai figli soldati, e che resta per qualche tempo a cucinare e a sferruzzare calze di lana per tutto il battaglione, per istriani, sloveni, croati, perché "xe poveri fioi anca quei".

Non è un caso che oggi l'Europa sia in crisi e i nazionalismi rinascano: lo fanno perché l'eco del macello, il ricordo del fratricidio ormai è scomparso. Non più testimoni diretti, non più nonni a raccontare, nessuno più che sappia cosa voglia dire combattere sul serio e che considera la guerra roba da poveri sfigati, o da videogiochi, o da eroi palestrati.

Mi è piaciuto molto, nonostante il tono pessimista: alcuni passi sono semplicemente da incorniciare. Diventa alla fine un po' prolisso, la lirica se portata avanti per troppe pagine alla fine si sfalda. Ma è un libro potente, che riesuma una parte di storia soffocata dalla propaganda successiva e lo fa nel modo più commovente, attraverso le singole storie dei nostri padri, attraverso quelle tombe che in troppi ricordano ormai sommariamente solo in occasione di qualche anniversario da celebrare per routine.

Inutile ricordare, bisogna tramandare. La sfumatura è notevolmente diversa.



Link correlati:


- Per approfondire le tematiche riportate nel testo di Paolo Rumiz può essere utile questo articolo sui combattenti giuliani, tratto da grandeguerra.com. Questo sito ovviamente è una miniera di informazioni su tutta la Prima Guerra Mondiale, se interessa l'argomento.

- Qui invece trovate un video di circa un'ora in cui lo stesso Paolo Rumiz parla della propria opera al Festival Internazionale di Giornalismo.

- Paolo Rumiz si è detto più volte debitore della storica italiana Marina Rossi, che ha dedicato molti studi al fronte orientale e al ruolo italiano. Questo è il suo sito
Inoltre siamo tutti debitori della Croce Nera Austriaca: a dispetto del nome che ricorda svastiche hitleriane, in realtà è una associazione che dal 1919 cura il ricordo e il censimento dei morti nelle guerre mondiali; ha contribuito e contribuisce alla costruzione e al mantenimento dei cimiteri di guerra nelle zone del fronte. In Russia molti cimiteri sono stati rimossi per ordine statale dopo la Rivoluzione. Nelle zone dell'ex impero austroungarico, se abbiamo croci e nomi, lo dobbiamo al loro lavoro.

3 commenti:

  1. Credo che sarà il prossimo libro da leggere, anche se ormai il mio tempo per la lettura è quello trascorso in viaggio su treno, aereo e quant'altro. Non conoscevo questo risvolto, a pensarci bene ovvio, della Grande Guerra, che per l'Italia assume i connotati di una guerra civile.

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  2. Se leggi in viaggio, specie in treno è il libro giusto, visto che il racconto si svolge in gran parte su tradotte ferroviarie. In effetti non è un fatto molto noto, in parte perché appunto è stato passato sotto silenzio, in parte perché non trattato nei testi scolastici. In questo senso,le celebrazioni del centenario hanno avuto il merito di suscitare o rispolverare un buon numero di studi. Grazie mille per il tuo intervento!

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  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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