Letture: Storia della Resistenza in Italia di Santo Peli

« Abbiamo combattuto assieme per riconquistare la libertà per tutti: per chi c'era, per chi non c'era e anche per chi era contro... »
(Arrigo Boldrini, nome di battaglia Bulow, partigiano e politico ravennate)

Quello di cui vi parlo oggi è un libro di circa 200 pagine, che si legge abbastanza velocemente, e risulta essere un interessante compendio della Resistenza italiana. L'autore, Santo Peli, è uno degli storici più in gamba sull'argomento e in questo testo analizza non tanto date e fatti quanto l'ideologia da cui scaturì il movimento partigiano (o meglio, come alcune frange preferivano essere definite, dei "volontari della libertà" o dei "patrioti", avendo dapprima il termine partigiano una sfumatura lievemente negativa e che ad oggi invece non viene quasi più notata).

La storia della Resistenza ovviamente nasce con il crollo del governo Mussolini e l'armistizio di Cassibile, con cui Badoglio si arrese agli Alleati. Dopo l'8 settembre del 1943 ogni governo centrale in Italia scompare.
I fascisti si riorganizzarono nella Repubblica di Salò più per volere e con l'aiuto di Hitler che per forze e interessi propri: ai tedeschi serviva uno straccio di governo fedele al Führer, per fingere di non essere gli occupanti effettivi della nazione italiana. Il governo Badoglio e il re, messi in crisi dalla rivelazione dell'armistizio (in realtà una resa incondizionata) da parte degli americani, autorizzata da Eisenhower vista l'esitazione da parte italiana, preferirono fuggire subito in esilio al Sud, lasciando Roma nel caos e esiliandosi a Brindisi.




L'annuncio di Badoglio implicò il cessate il fuoco nei confronti degli alleati ma anche l'autorizzazione a rispondere agli attacchi di ogni altra natura. In pratica però molte truppe italiane erano mischiate con quelle tedesche, molti soldati e ufficiali furono immediatamente fatti prigionieri dall'esercito di Hitler. Erano danni di guerra calcolati.
Testimonianza personale: mio nonno, facente parte del reparto Sanità in Grecia, assieme ad un suo compagno, erano acquartierati al seguito di una divisione tedesca con cui avevano condiviso il cammino. Quando ci fu notizia dell'armistizio, il comandante tedesco salvò loro la vita: fece loro cenno di andare e si coprì gli occhi come a dire: non vi ho visti. Dopo diverse traversie rientrarono in patria a piedi, risalendo tutta la Jugoslavia. Mio nonno lo ricordava, mentre si allontanavano, scuro in volto, preoccupato. Non l'ha più rivisto, e uno dei desideri che esprimeva era sapere che fine avesse fatto, se si fosse salvato...

Tornando in Italia, con la fine del fascismo (non avendo infatti la Repubblica di Salò avuto presa sulla gran parte della popolazione italiana), gli antifascisti che fino a quel momento erano stati clandestini, o incarcerati, o in esilio, piano piano rialzarono la testa.  L'unica caratteristica comune che tutte le forze impegnate nella Resistenza avevano era l'antifascismo.
Iniziarono quindi a verificarsi i primi scontri con l'esercito tedesco, all'inizio dovuti soprattutto a piccole formazioni con a capo ufficiali e soldati monarchici, più o meno esperti di guerra, che odiavano i fascisti e i tedeschi e volevano riportare l'Italia alla libertà ma pur sempre sotto l'egida della monarchia. Ma già pochi giorni dopo l'armistizio, a Roma, ad opera di personaggi usciti dalla clandestinità dai nomi importanti e appartenenti ai diversi partiti antifascisti clandestini (Pietro Nenni, Giorgio Amendola, Ugo La Malfa, Alcide De Gasperi, Meuccio Ruini e Alessandro Casati) nacque il Comitato di Liberazione Nazionale o CLN, e lo stesso Nenni poi contribuì a far sorgere sempre a pochi giorni di distanza, stavolta a Milano, il CLNAI, Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, che avrebbe poi assunto al guida della Resistenza al Nord e di cui fu uno dei membri più importanti Ferruccio Parri.

Pian piano in tutta l'Italia occupata dai tedeschi nacquero gruppi paramilitari che si associarono al CLN o al CLNAI. Di solito erano composti da poche persone, male armate, in cui spesso solo il capo era un politico o un soldato d'esperienza. Come sottolinea Peli, non è realistico pensare che tutti fossero mossi da ideali politici; molti si arruolavano per evitare la leva militare (ci fu una nuova chiamata alle armi da parte della Repubblica di Salò e quindi dei tedeschi), oppure per una rivalsa contro il fascismo, che con la sua propaganda aveva convinto inizialmente molti, i quali si risvegliarono bruscamente ancora più poveri; a volte erano membri delle bande partigiane reduci della campagna di Russia (portatori di un odio enorme verso il regime mussoliniano e che il regime stesso considerava molto pericolosi); in alcuni casi furono d'aiuto anche ex prigionieri tedeschi o russi, nonché membri delle resistenze francesi e jugoslave.

Inizialmente le varie bande erano completamente slegate tra loro e non avevano raffinate tecniche di combattimento. L'attività veniva svolta tra gravi pericoli, e nella prima fase sopravvissero unicamente quelle brigate i cui capi erano più esperti militarmente e soprattutto quelle che svolgevano azioni di guerriglia, mordi e fuggi, piuttosto che scontri in campo aperto, dove l'esercito regolare tedesco era superiore. 
Si crearono vari gruppi, ognuno con ispirazioni diverse: dalle Brigate Garibaldi di Luigi Longo e Pietro Secchia, di ispirazione comunista, alle Fiamme Verdi cattoliche della Val d'Ossola, alle Brigate Osoppo del Nordest, anch'esse di ispirazione liberale, cattolica e socialista, fino al gruppo Giustizia e Libertà del Partito d'Azione di Parri. Esistevano anche frange resistenti di ispirazione anarchica. 
Questi gruppi erano attivi soprattutto in montagna, mentre nelle grandi città si erano costituiti i GAP e i SAP (rispettivamente Gruppi e Squadre di Azione Patriottica), gli uni spesso comandati da ex militanti della guerra spagnola e pertanto a regolamento militare, le altre attive nelle fabbriche, per favorire l'insurrezione operaia. 
La regione italiana in cui le brigate partigiane erano più numerose e meglio organizzate fu senza dubbio alcuno il Piemonte.
Alla Resistenza parteciparono, anche se sempre subordinate a comando maschile, circa 35000 donne. La loro presenza fu importante dal punto di vista logistico più che militare, e spesso nel primo dopoguerra le brigate più filomilitari tesero a diminuirne il ruolo nella narrazione (come se fosse vergognoso e sminuente per i combattenti aver avuto aiuto femminile) e solo ultimamente stanno emergendo sempre maggiori studi volti ad analizzare il ruolo della donna in questa fase della storia italiana.

Arrivò poi la crisi tra 1943 e 1944: dopo l'iniziale entusiasmo e inutili tentativi di essere riconosciuti ufficialmente dagli Alleati, le numerose perdite e le feroci rappresaglie (che coinvolgevano i civili, come da piano Kesselring, che mirava a sottrarre ai partigiani l'appoggio della popolazione: ricordiamo, anche se non ce ne sarebbe bisogno, le Fosse Ardeatine, Sant'Anna di Stazzema, Marzabotto e altre stragi "minori", tutte realizzate con il pretesto della lotta alle squadre partigiane) tutti questi fattori causarono una diminuzione delle forze volontarie: i più deboli, i meno convinti iniziarono a dubitare dell'utilità della lotta armata e si sganciarono.
In  particolare, iniziavano i primi contrasti interni tra moderati e radicali: le brigate comuniste, in special modo quelle del Nordest, che vedevano di buon occhio la Resistenza jugoslava di Tito e che miravano ad unirsi a loro, aspiravano ad organizzarsi in un esercito permanente che avrebbe poi in seguito potuto favorire l'insurrezione proletaria di stampo marxista. Probabilmente questa era solo un'illusione, perché a parte i forti scioperi del marzo 1943 e del 1944, la cui adesione fu dettata anche dalle pessime condizioni economiche più che da ideologia, il grosso del popolo italiano non aveva spinte veramente marxiste su cui poter far leva.
Questa prospettiva però preoccupava lo stesso moltissimo il governo monarchico del Sud, con a capo Bonomi, nonché le forze alleate britanniche e americane, che proprio per questo ritardarono a riconoscere ufficialmente la Resistenza come partner di lotta e lo fecero dopo aver avuto precisa garanzia della loro immediata capitolazione, al momento della liberazione, nei confronti del governo ufficiale. 
A questo proposito, il comandante in capo americano Alexander diramò un messaggio alle forze della Resistenza chiedendo loro di attendere novità durante l'inverno, rispondendo ai timori provenienti dai monarchici. Questo messaggio attendista contribuì a scoraggiare non poco il morale dei partigiani, anche se non voleva averne l'intenzione. Nell'inverno quindi si realizzò quasi dappertutto la "pianurizzazione" e il "mascheramento": in montagna restavano piccoli gruppi mentre il grosso delle forze tornava in pianura, dove poteva resistere meglio alle privazioni e iniziare a svolgere attività nelle campagne.

Durante la primavera e l'estate del 1944 ci fu una nuova offensiva partigiana che ottenne alcuni brevi successi, con la creazione di quattro Repubbliche autonome (Montefiorino, Ossola, Carnia e Alto Monferrato) che però ben presto terminò a causa della tremenda repressione tedesca, che fece molte vittime e molti sfollati. Furono comunque i primi tentativi di governo post fascista, per quanto brevi, e tutti di stampo repubblicano.

Al ritorno di Togliatti in Italia e dopo la "svolta di Salerno" in cui invitava a mettere da parte eventuali contrarietà politiche nell'interesse del Paese, la cui definizione doveva essere rimandata al dopoguerra, ci fu uno spiraglio di apertura. 
Alla fine, il 7 dicembre del 1944, con i "Protocolli di Roma" le trattative tra il CLNAI e gli Alleati arrivarono a una conclusione comune. Il CNLAI avrebbe rappresentato il governo legittimo al Nord, nelle regioni ancora occupate o liberate di recente, e veniva istituito il Corpo Volontari per la Libertà (CVL), che ne era il braccio armato. Capo era il famosissimo generale monarchico, gradito al re e ben noto alla storia italiana, Raffaele Cadorna. Membri autorevoli furono Sandro Pertini ed Enrico Mattei, mentre il comando pratico rimase nelle mani di Luigi Longo e Ferruccio Parri.
Gli Alleati cominciarono così a rifornire attivamente di armi e equipaggiamenti la Resistenza italiana, che in cambio però firmò la resa totale e la restituzione delle armi a liberazione avvenuta a favore del governo ufficiale, accantonando così le velleità rivoluzionarie, e causando qualche forte malumore in molti membri comunisti, e anche a un socialista come Pertini all'inizio l'accordo non andò per niente giù. Ma fu l'unico modo per sbloccare la situazione, visto che per gli anglo-britannici la conquista del Nord senza la Resistenza sarebbe stata molto più lunga e difficile, e che la Resistenza non era in condizioni di trattare alla pari, non avendo essa soprattutto armamenti adeguati con cui attaccare l'esercito tedesco.
La storia prosegue come molti di noi sapranno: le insurrezioni iniziali nelle città del Sud a favore dell'avanzata americana, la liberazione di Roma (unica città che attese gli Alleati senza insorgere), la lotta di Firenze e alla fine l'insurrezione di Milano, il 25 aprile 1945, la cui data ancora oggi viene festeggiata come Festa della Liberazione, anche se la liberazione effettiva e totale si realizzò nei primi dieci giorni del mese di maggio.
Il 28 aprile Mussolini, che tentava di fuggire in Svizzera, e fu scoperto, fu fucilato insieme a Claretta Petacci e a diversi gerarchi fascisti. I tedeschi invece ebbero il permesso di passare il confine e abbandonarono l'ex alleato. 
Le forze partigiane deposero le armi quasi per intero, e l'incarico di governo finì nelle mani di Ferruccio Parti per pochi mesi, quando iniziò il periodo di governo della Dc con De Gasperi.
Da segnalare alcune tristi deviazioni a parte di squadre partigiane, in particolare uccisioni sommarie di fascisti ma anche qualche eccidio ancora meno giustificato, come quello di Porzus, in cui pare che una squadra comunista appartenente ai GAP abbia ammazzato gli ex alleati della Brigata Osoppo accusandoli di tradimento (ma è questione ancora controversa, dato che alcuni parlano di infiltrazioni slave e forse addirittura americane, volte a screditare il partito comunista; quel che è certo è che il massacro ci fu e le cause non risultano ancora chiare. Il processo ha stabilito la condanna degli imputati ma non il reato di tradimento).
Le epurazione politiche invece in proporzione alla durata e alla violenza della dittatura furono molto poche. Alcuni alti gerarchi come il generale Graziani, il generale Junio Valerio Borghese (quello del futuro golpe) e altri non subirono nessuna conseguenza per la loro passata militanza, pur non essendosi mai pentiti. Anche perché nel dopoguerra ci furono ben tre amnistie per i reati politici precedenti, con lo scopo di pacificare la nazione.

Peli inoltre spiega come anche la resistenza passiva da parte dei soldati internati in Germania e quella silenziosa dei renitenti alla leva abbia contribuito alla sconfitta tedesca, sottolineando come spesso negli ufficiali il rifiuto di collaborazione con il nemico fosse spesso dovuto a orgoglio di corpo più che a ideali politici, e soprattutto al subentrato odio per il fascismo, intervenuto dopo la disillusione, l'amara scoperta della falsità della propaganda di regime. Questa pare essere anche la motivazione basilare della Resistenza: una sorta di riscatto civile per aver creduto alle bugie di una ideologia che aveva portato il Paese alla rovina.


Piero Calamandrei - Di Sailko - Opera propria, CC BY 3.0,
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In conclusione, Peli racconta come la guerra di liberazione abbia portato, pur con alcune storture, un cambiamento epocale in Italia; come lui stesso scrive, se non ci fosse stata la Resistenza (seconda in Europa solo a quella jugoslava, a cui però non è paragonabile per la diversa origine, per la diversa conformazione del territorio e soprattutto per le diversità politiche), oggi forse avremmo ancora una monarchia e soprattutto non avremmo avuto la Costituzione italiana, il cui sistema di contrappesi nacque proprio per evitare il ripetersi di dominazioni tiranniche e che, per quanto possa essere aggiornabile dal punto di vista tecnico-politico, rimane una delle carte più all'avanguardia per quanto riguarda i principi fondamentali e i diritti economico-sociali.
Essa uscì da un compromesso tra forze politiche diverse che si accordarono in nome di valori più alti, e probabilmente il compromesso avvenne perché era necessario ricostruire e unire un paese che aveva attraversato un bagno di sangue. E' triste vedere come al giorno d'oggi per problemi seri ma tutto sommato affrontabili le parti politiche in campo non riescano a trovare un modo per poter approntate leggi e riforme necessarie in spirito di collaborazione piuttosto che di rivalsa.


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- Uno dei siti su cui ci si può documentare meglio sugli avvenimenti è senza dubbio quello dell'ANPI. Ci troverete anche molte notizie di politica attuale ma negli archivi c'è molto materiale interessante da studiare. Trovate l'atlante delle stragi, i principali protagonisti, l'elenco dei musei e dei siti dedicati.

- Le opere sulla Resistenza e sulla seconda guerra mondiale sono innumerevoli. Si va dal "Partigiano Johnny" di Beppe Fenoglio (da cui è stato tratto l'omonimo film di Guido Chiesa) al capolavoro di Rossellini "Roma città aperta". Ma un film particolare che illustra bene la commedia nella tragedia, tipicamente italiana, è il film "Tutti a casa", di Luigi Comencini, uno dei suoi film più belli, con uno splendido Alberto Sordi e tra gli altri interpreti Eduardo de Filippo. E' inserito nei 100 film italiani da salvare.

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