Artemisia Gentileschi (1593-1653)

Autorittatto come allegoria della pittura
By Artemisia Gentileschi -
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Artemisia Gentileschi nacque l'8 luglio del 1593 a Roma, figlia del pittore pisano Orazio Gentileschi. La madre Prudenzia morì quando Artemisia aveva dodici anni e la ragazza crebbe con il padre e tre fratelli maschi. Tra i fratelli fu l'unica a seguire la carriera del padre e a frequentare la sua bottega, dove forse conobbe di persona Caravaggio, che era amico del padre. Non è certo, perché Artemisia viveva una situazione particolare: si occupava infatti della famiglia e il padre le consentiva di imparare il mestiere, ma confindandola nello studio o in casa, senza che avesse la libertà di frequentare ambiente e persone; d'altra parte, il mestiere di pittore non era considerato adatto a una donna.
Le sue prime opere erano firmate dal padre e somigliavano molto allo stile di lui, più sentimentale. Lo stile è comunque, e lo resterà, caravaggesco.





Il suo primo quadro noto è Susanna e i Vecchioni, risulta sempre firmato dal padre e risale al 1610. Nel 1612 Orazio scrisse una lettera alla Granduchessa di Toscana in cui la informò che la figlia era diventata una vera pittrice in soli tre anni, per cui si è dedotto che abbia fatto il suo apprendistato sotto il padre dal 1609 al 1612, quindi tra i 16 e i 19 anni, e che assieme abbiano lavorato a vari dipinti.

Susanna e i Vecchioni By Artemisia Gentileschi - Web Gallery of Art:   Image  Info about artwork, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=15453597

Nel 1611 Orazio pose la figlia sotto la guida pittorica di Agostino Tassi, un suo collega e collaboratore, pittore paesaggista esperto di prospettiva. Buon pittore ma pessimo soggetto (come d'altronde era comune a Roma in quell'epoca, città santa per eccellenza ma con un alto tasso di violenza e crimine), era coinvolto in diversi processi, forse anche mandante di omicidi. Nel mese di maggio, il Tassi circuì e dedusse Artemisia, forse con la violenza.
Qui si apre uno dei processi ormai più  famosi della storia, di cui abbiamo preciso resoconto, ma che alla fine non ci fornisce alcuna sicurezza su come andarono veramente le cose.

Innanzitutto, la denuncia arrivò solo nel 1612 e pare che sia stata fatta non per volere di Artemisia ma del padre. Pare che sia padre che figlia avessero atteso che il Tassi provvedesse a rimediare contraendo matrimonio, come da lui promesso, fin quando si scoprì che era già sposato e non vedovo (la moglie abitava in altra città e pare fosse stata data per morta per sbaglio). Per questo motivo, non è chiaro se effettivamente tra i due ci sia stata una relazione consenziente o se la giovane Artemisia avesse realmente subito violenza ma sperasse comunque di non subire l'onta del disonore e di poter contare su nozze riparatrici. La perdita delle verginità senza matrimonio, come noto, era una vergogna sociale molto grande.

Il processo per stupro all'epoca era qualcosa di impensabile, non solo perché non era considerato reato contro la persona, ma contro l'onore della famiglia; nemmeno per l'ovvia accusa rivolta alla donna di essere di facili costumi, mentre l'uomo era giustificato (non che sia cambiato  molto in 400 anni su questo argomento); ma anche e soprattutto perché, per provare che Artemisia avesse detto la verità, fu come da legge vigente prima visitata davanti a giudici e notai dalle ostetriche per valutarne la verginità, e poi sottomessa a tortura. Le applicarono il supplizio dei "sibilli", cioè la legatura delle dita fino a lacerare la pelle e le falangi. Per fortuna Artemisia non subì danni permanenti alle mani. Ma in ogni caso l'esperienza deve averla traumatizzata. Nonostante tutto ella dimostrò una forza di carattere ammirevole. Il Tassi portò alcuni falsi testimoni, anche Orazio probabilmente mentì su qualche particolare, comunque alla fine il colpevole fu condannato all'esilio ma di fatto graziato: per merito dei suoi potenti committenti restò in città senza che nessuno lo molestasse.
L'onore era tutto sommato salvo, ma la fama di Artemisia era pessima e fu oggetto anche di componimenti insultanti. Il Gentileschi a questo punto decise che era meglio sottrarsi ai pettegolezzi e regolarizzare la posizione della ragazza. Appena chiuso il processo, le fece sposare per assoluta "convenienza" un modesto pittore fiorentino, Pierantonio Stiattesi, che subito partì con lei per Firenze.



Giuditta decapita Oloferne By Artemisia Gentileschi - Uffizi, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=79711017

Firenze fu la piattaforma di lancio di Artemisia, perché fu introdotta dallo zio alla corte di Cosimo II, dove conobbe Galileo Galilei e Michelangelo Buonarroti il Giovane, nipote del celebre artista, ben inserito nella corte e tra la nobiltà fiorentina, il quale le fece da mecenate e da patrono. Il 19 luglio 1616, prima donna nella storia, fu ammessa all'Accademia del Disegno di Firenze, dove restò iscritta fino al 1620. Alcune opere del periodo sono firmate con il cognome Lomi, quello dello zio, quasi a volersi emancipare dalla figura paterna e a voler rimarcare l'indipendenza fisica e culturale dall'ingombrante genitore.
I suoi dipinti cominciano a contenere figure di donne forti, possenti, decise, coraggiose. Resta il tratto caravaggesco del chiaroscuro, ma la pittura assume una nuova potenza. Di questo periodo sono le famose Giuditte, quadri che ritraevano la Giuditta biblica che tagliava la testa a Oloferne.

Dal matrimonio con lo Stiattesi nacquero quattro figli, ma il marito si rivelò un pessimo lavoratore e un gran spendaccione; era Artemisia che portava i soldi a casa con le sue opere. A Firenze sembra che la Gentileschi avesse trovato l'amore della vita: ebbe una relazione duratura con il fiorentino Francesco Maria Maringhi, con cui ebbe uno scambio epistolare che è stato scoperto nel 2011, negli archivi della famiglia Frescobaldi, di cui il Maringhi era collaboratore, grazie allo studioso Francesco Solinas. La passione fu però funestata dai debiti contratti dal marito, che quando scoprì gli amanti tentò  di ricattare il Maringhi per averne denaro. Lo scandalo fu tremendo e Artemisia decise di tornare a Roma, senza il marito, che da quel  momento non comparve più al suo fianco; vi restò forse fino al 1627, quando si spostò a Venezia e poi nel 1630 a Napoli. Tra 1621 e 1622 si recò a Genova al seguito del padre, dove conobbe gli olandesi Van Dick e Rubens, e probabilmente si influenzarono a vicenda. Negli anni romani ebbe finalmente la possibilità di frequentare gli ambienti culturali della capitale, ma non parve molto soddisfatta delle commesse ricevute, anche se in molti le dimostravano ammirazione.

Napoli divenne sua seconda patria, essendo in pieno fermento culturale all'epoca, con la presenza del Caravaggio stesso, di Giordano Bruno, Tommaso Campanella, il Carracci, e Massimo Stanzione, collega con cui ebbe una stretta collaborazione negli anni a venire. Finalmente cominciarono ad arrivare committenze importanti e le prime richieste di quadri a sfondo sacro per le chiese. E così Artemisia si reinventò di nuovo, senza perdere la tipica maestosità e fierezza delle sue figure umane.



S. Caterina d'Alessandria By Artemisia Gentileschi - The Athenaeum: Home - info - pic, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=47163509


Improvvisamente, forse per aumentare i guadagni (doveva maritare le due figlie) , senza troppo entusiasmo partì a sorpresa per l'Inghilterra nel 1638, dove era anche il padre, divenuto pittore di corte, che ivi morì l'anno dopo. Può darsi che il  viaggio sia stato fatto per assistere il padre forse malato, ma non è da escludere nemmeno che sia partita su richiesta dello stesso re Carlo I. Nel 1642 però la situazione in Inghilterra precipitò verso la guerra civile e la pittrice tornò a Napoli, dove riprese a produrre alcuni quadri e dove morì nel 1653. Fu seppellita nella Chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini, ma la lapide con su scritto "Heich Artemisia" ("Qui giace Artemisia") andò in seguito perduta dopo modifiche strutturali all'edificio.


Medea (1620) By Artemisia Gentileschi - Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=54717055



La sua fama nell'immediato fu controversa, amata da alcuni e disprezzata da altri, mentre in seguito fu quasi completamente ignorata. Non fu la prima donna pittrice in Italia, prima di lei altre figure di pittirci sono esistite, ma mai nessuna era arrivata così in alto. Solo nel Novecento fu riscoperta grazie soprattutto alla sua vicenda privata, che fu riportata in auge dal femminismo come esempio fulgido di donna forte e volitiva, nonostante le sciagure subite.
Ultimamente, la critica tende a volerla considerare più dal punto di vista artistico che come exemplum, ritenendo che la dolorosa vicenda privata abbia per troppo tempo oscurato il suo vero valore per la pittura italiana ed europea dell'epoca. Forse l'omaggio più giusto che possiamo farle, anche in chiave femminista, è riconoscerla per quello che ha dato all'arte e non solo per gli avvenimenti negativi che ha dovuto affrontare. Le sue figure di donne possenti, sicure, a volte disperate (come nel quadro giovanile di Medea) sono veramente meritevoli.


Link correlati:

- I due testi fondamentali che hanno riportato in auge la figura di Artemisia Gentileschi sono il saggio del 1916 di Roberto Longhi, studioso di Caravaggio, intitolato Gentileschi, padre e figlia; nonché il saggio di Mary D. Garrard Artemisia Gentileschi: The Image of the Female Hero in Italian Baroque Art, purtroppo disponibile solo in lingua inglese.

- Su youtube il canale Loreto Arte ha pubblicato un video sulla produzione della Gentileschi, in cui si possono ammirare le opere principali della pittrice.

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